È uscito il 7 luglio 2016 il mio compact disc monografico dedicato a

FERRUCCIO BUSONI
nel 150.o della nascita
classicamente cd busoni bottini 400x399

Contiene composizioni originali per pianoforte di Busoni adattate all'organo.

 

Il c.d. è stato ufficialmente presentato in occasione del

concerto che ho tenuto il 15 luglio 2016 al Festival di Magadino (Svizzera).

 

 

Ferruccio Busoni

ClassicaMente

Paolo Bottini

all'organo “Bevilacqua/Chichi” (1968/2004) della Collegiata di Empoli

 

1. Preludio e Fuga, op. 5 (da Trois Morceaux, Kind. 197)

 

Dodici Preludi (dall'op. 37):

2. n. 1, Moderato

3. n. 2, Andantino sostenuto

4. n. 3, Andante con moto

5. n. 4, Allegretto (in carattere di danza)

6. n. 5, Vivace assai quasi presto

7. n. 6, Moderato (in carattere d'un Corale)

8. n. 7, Allegro vivace (in carattere di Giga)

9. n. 8, Allegro moderato

10. n. 9, Allegretto vivace e con brio (in carattere campestre)

11. n. 15, Andantino sostenuto con espressione

12. n. 20, Allegro moderato

13. n. 21, Andantino sostenuto

Tre Macchiette medioevali (dall'op. 33):

14. n. 1, Dama (Moderato con delicatezza)

15. n. 2, Cavaliere (Veloce con spirito)

16. n. 3, Paggio (Vivace)

 

Danze antiche, op. 11:

17. n. 4, Bourrée

18. n. 1, Minuetto

19. n. 2, Gavotta

20. n. 3, Giga

 

Due Racconti fantastici (dall'op. 12):

21. n. 1, Duello

22. n. 2, Klein Zaches

 

23. Preludietto e Fughetta (da An die Jugend, Kind. 254)

24. Contrapunctisches Tanzstück [alias Waffentanz], op. 30a n. 1

 

* * *

 

FONTI

 

Preludio e Fuga op. 5, da Trois Morceaux, Kind. 197, dedica a Betty de Preleuthner, composti probabilmente nel 1881-82, Wetzler, Vienna 1884 (ma prob. 1883)

Preludi, op. 37, composti 1880-81, pubblicati da Lucca, Milano 1882, dedicati all'amico Louis Cimoso

Macchiette Medioevali, Kind. 194, L. Trebbi, Bologna 1883

Preludietto e Fughetta [dedica a Josef Turczinski], da An die Jugend, Kind. 254, 5 brani dedicati a Josef Turczinski, Louis Theodor Gruenberg, Leo Sirota, Louis Closson, Émile Blanchet, Zimmermann, Lipsia 1909

Danze antiche op. 11, Kind. 126, dedica a Riccardo Eckhel, Giuseppe Fumagalli, Giulio Sinico, Antonio Zampieri, composti 1878-79, Lucca, Milano 1882

Racconti fantastici, 3 pezzi caratteristici, op. 12, Kind. 100, dedica Stefano Golinelli, composti 1878, L. Trebbi, Bologna 1882

Contrapunctisches Tanzstück [alias Waffentanz] op. 30a n. 1 (Carl Fischer, New York 1919), olim op. 60 n. 1, 1889; BV 235/1; nuova edizione col titolo Waffentanz, op. 30a n. 1, BV 235a/1 (D. Rahter, Leipzig 1914)

 


 

 

Busoni: la classica mente di un giovane profeta

Negli anni immediatamente seguenti la morte di Ferruccio Busoni, coloro che contribuirono alla compilazione dei programmi didattici dei conservatori italiani, promulgati nel dicembre del 1930 (dovuti per buona parte all'influenza del compositore Ildebrando Pizzetti),1 esclusero (deliberatamente?) qualsiasi composizione originale di Ferruccio Busoni pur senza, quanto meno, dimenticarne i meriti di trascrittore di opere organistiche di Johann Sebastian Bach, inserendo invece musiche dei poco più anziani Giovanni Sgambati e Giuseppe Martucci. La fama del «principe dei pianisti moderni»2aveva oscurato il non indifferente contributo dato al mondo in qualità di compositore: «né il divario sembra oggi colmato», scriveva quasi quattro decenni fa il musicologo Fedele d'Amico;3 ancora pochi anni dopo l'indimenticato Sergio Sablich, nel suo fondamentale contributo monografico, si rassegnava a scrivere che «l'aspetto di Busoni creatore, nonostante la sua oggettiva importanza, [è] non soltanto quello più misconosciuto, ma anche il meno conosciuto e trattato»;4 e ancora oggi, mentre Empoli celebra il 150° anniversario della nascita del suo illustre figlio (avviandosi nel contempo verso la ricorrenza del primo centenario della morte), la musica (non solo pianistica ma anche orchestrale e operistica) di Ferruccio Dante Michelangelo Benvenuto Busoni è certamente meno conosciuta di quanto non lo sia quella di un paio di suoi coetanei: Francesco Cilea e il francese Erik Satie.

Il fatto è che le vicende tennero lontano Busoni dall'Italia per buona parte della sua vita: ancora in fasce era al seguito dei genitori concertisti (padre clarinettista, madre pianista), ma l'iniziare degli studi sistematici e l'esordio della sua carriera di pianista da concerto, portarono via il fanciullo da Empoli già nel 1870 verso Trieste (città della madre, tedesca originaria della Carinzia), poi a Trento, Bolzano, Graz, Klagenfurt, Vienna, Lipsia, Helsinki, Mosca, Boston, New York, per finire nel 1894 nell'amata Berlino, patria d'elezione. Raggiunta fama internazionale come pianista, si sentiva vieppiù incompreso nella sua Italia. Già nel 1886 il ventenne Busoni, in uno scritto intitolato Stato della musica in Italia apparso in tre puntate sulle colonne del quotidiano «Grazer Tagespost», considerava la mal-educazione musicale impartita nel «bel paese là dove 'l sì suona» (Dante), regno incontrastato dell'opera lirica di vecchio stampo e governato dagli editori Ricordi e Lucca, ove metro del successo di un lavoro non poteva che essere l'ovazione oppure il fischio del pubblico, lontanissimo dal poter minimamente comprendere ed apprezzare i progressi di un Richard Wagner. E nel 1888, da Elsinki, Busoni scriveva alla madre Anna Weiss: «sarebbe per me una grande soddisfazione riformare ed educare il gusto, e organizzare concerti orchestrali in un Paese retrogrado [verso il quale] ho il fermo proposito di dedicare gran parte della mia vita a porre le fondamenta, unitamente ad altri, di una nuova epoca nella vita musicale del mio Paese. Ecco!».5

Tornando alla sfortuna del Busoni sia teorico che compositore, bisogna registrare quel duro colpo che gli venne dallo scoppio della prima guerra mondiale, a causa della quale egli (convinto antimilitarista),6 dopo aver accettato nel 1913 la direzione del Conservatorio di Bologna, dovette rifugiarsi nella neutrale Svizzera, essendo stretto nella imbarazzante morsa della duplice origine etnica.7 Questo isolamento, che certo non favorì il diffondersi delle sue chiaroveggenti riflessioni sull'essenza della musica (riflessioni che l'arretratezza culturale italiana non era comunque pronta ad accogliere), fu ulteriormente aggravato dalla spaventosa inflazione post-bellica che colpì la Germania nonché dall'insorgere della malattia che lo porterà alla morte nel 1924; se si aggiunge che negli anni successivi vi fu l'avvento di Hitler e poi la seconda guerra mondiale, ben si capisce, scrive il suo biografo Hugo Leichtentritt, come tutti questi eventi «distrussero completamente le basi sulle quali poggiava il credo artistico di Busoni e ridussero a un minimo le possibilità del suo successo universale come artista creatore».8 E proprio quest'ultimo aspetto, quello del Busoni compositore, è sempre stato, e lo è ancora oggi, il meno considerato.9 Eppure, parallela alla febbrile e trionfale carriera concertistica come pianista, l'attività compositiva era sentita da Busoni imprescindibile: «Ciò che più importa è la volontà e lo sforzo di non trascurare la composizione, il “tutto” della mia vita, il definitivo scopo della mia esistenza, senza cui tutto ciò che ho realizzato fino ad ora sarebbe relativamente senza valore...».10

Le musiche raccolte in questa registrazione – risalenti per lo più al periodo giovanile (1878-89, con un'eccezione datata 1909) e certamente debitrici (tranne il Contrapunctisches Tanzstück del 1889 nel quale si nota un più futuristico allargamento tonale) del grande pianismo romantico di Chopin, Schumann e Mendelssohn – prefigurano, in qualche modo, quel concetto che nel 1916 il maturo Busoni definirà Junge Klassizität (letteralmente: “giovane classicità”), ovvero di un giovane, nuovo classicismo, generato, in prima istanza, dall'istintivo riconoscersi di Busoni nella figura del grande Johann Sebastian Bach, una vera affinità elettiva che tuttavia non aveva, nel frattempo, portato il compositore a percorrere (come fecero, ad esempio, Hindemith o Stravinskij) una via neoclassica, fatta di più o meno pedissequi ritorni al passato, ma ad una cosciente appropriazione del retaggio del passato costantemente proiettato verso il futuro, un ricercare cose nuove senza forzatamente rinnegare quelle antiche. «Soltanto con il dominio delle esperienze passate si può andare verso un certo futuro, sicuri nella (e della) propria fede. La frattura, ripudiata, viene considerata nulla come elemento risolutore».11 Insomma, «la classicità postulata da Busoni, pur non escludendo il diretto riferimento a modelli del passato (soprattutto a quelli offerti dal sommo Bach) cercava le sue premesse «nella padronanza, nell'esame, nello sfruttamento di tutti i risultati delle esperienze passate» e nell'innovazione incessante dei portati formali della tradizione senza atteggiamenti polemicamente critici, senza fare del radicalismo modernista un fine a sé stesso».12

Ma più di altre parole, valgano quelle di Busoni stesso (rivolte nel gennaio 1920 al musicologo berlinese Paul Bekker a seguito di una polemica insorta con il compositore e direttore d'orchestra Hans Pfitzner, dal 1897 docente al conservatorio “Julius Stern” di Berlino, dopo la pubblicazione a Lipsia nel 1916 del fondamentale busoniano Abbozzo di una nuova estetica della musica):

Stimatissimo signor Paul Bekker,
ho letto con interesse e simpatia il Suo articolo «Impotenza - o potenza?» e Le sono profondamente grato per parecchie cose che vi si leggono. Sebbene Pfitzner non possa destare in me altrettanto interesse e simpatia - né d'altronde lo desidera - pure non posso vincere del tutto il dubbio che tra lui e quel ch'egli combatte esistano dei malintesi; non solo credo che noi tutti d'intenzioni oneste aspiriamo nella musica al meglio, alla massima perfezione possibile (una qualità comune questa, che dovrebbe far cessare ogni ostilità) ma pure che nei tentativi dei compositori d'oggi esistono certo differenze - precisamente differenze di talento! -, non però abissi che li dividano: io credo che essi tutti si somiglino più di quanto sospettiamo o di quanto cerchiamo di convincerci. (Diversa è la situazione quanto alla differenza del modo di pensare.)
In ogni tempo ci furono - ci dovevano essere - artisti che si aggrappavano all'ultima tradizione, e altri che cercavano di liberarsene. Mi sembra che questo stato crepuscolare sia permanente; aurora e piena luce diurna sono considerazioni prospettiche di storici che amano fare riassunti e arrivare presto a fatti importanti. Anche l'apparire di singoli esperimenti che sfociano nella caricatura è un segno che sempre accompagna le evoluzioni: si scimmiottano bizzarramente atteggiamenti vistosi di coloro che valgono qualche cosa; protervia o ribellione, satira o stoltezza. Negli ultimi quindici anni questo è accaduto piu spesso, e ciò fa tanto più specie dopo la sosta degli anni Ottanta; fenomeno nella storia dell'arte isolato (che purtroppo coincise proprio col periodo della mia giovinezza). Ma il generalizzarsi dell'esagerazione - con la quale oggi anche il principiante debutta - indica la chiusura di un periodo; e il prossimo passo, che lo spirito d'opposizione deve incoraggiare e arrecare, è quello che porta alla nuova classicità.

Per "nuova classicità" intendo il dominio, il vaglio e lo sfruttamento di tutte le conquiste di esperienze precedenti: il racchiuderle in forme solide e belle.
Questa arte sarà allo stesso tempo vecchia e nuova - in un primo momento. Noi ci dirigiamo verso di essa - fortunatamente - consci o inconsci, di nostra volontà o trascinati dalla corrente.

Per sorgere pura nella sua novità, per avere effettivamente agli occhi dello storico il significato d'un avvenimento, quest'arte deve però fondarsi su parecchi presupposti che oggi non sono ancora del tutto riconosciuti. Sento come una delle più importanti di queste verità ancora misconosciute il concetto dell'unità nella musica. Intendo l'idea che musica è in sé e per sé musica, e null'altro, e che essa non si divide in generi diversi; se non quando titoli, situazioni, interpretazioni, che sono trasportate in essa dall'esterno, la scompongano apparentemente in varietà diverse. Non esiste una musica "di chiesa" in sé e per sé; ma nient'altro che musica basata su un testo chiesastico, o eseguita in chiesa. Variate il testo e varierà, apparentemente, anche la musica. Togliete il testo del tutto, e rimarrà, illusoriamente, un brano sinfonico. Aggiungete parole a un tempo di quartetto e ne risulterà una scena d'opera. Suonate il primo tempo dell'Eroica come accompagnamento a un western e la musica vi apparirà cambiata sino all'irriconoscibile. Per questo Ella non dovrebbe parlare di musica strumentale e del "vero sinfonista", come Le è sfuggito nel Suo articolo sulle sinfonie da camera; non mi permetto di criticarLa, ma ho avuto la spiacevole impressione che con questa terminologia Ella si avvicinasse a Pfitzner più di quanto fosse nelle Sue intenzioni.

Conto anche come elemento della "nuova classicità" il distacco definitivo dal tematismo e il rinnovato impiego della melodia (non nel senso di motivo orecchiabile) quale dominatrice di tutte le voci, di tutti gli impulsi, supporto dell'idea e genitrice dell'armonia, in breve; della polifonia sviluppata (non complicata) al massimo.
Un terzo elemento, non meno importante, è il rinnegamento della sensualità e la rinuncia al soggettivismo (la via verso l'oggettività - il ritrovarsi dell'autore di fronte all'opera - una via di purificazione, un cammino duro, una prova dell'acqua e del fuoco), la riconquista della serenità: non la smorfia di Beethoven e neppure il "riso liberatore" di Zarathustra, ma il sorriso del saggio, della divinità: musica assoluta. Non profondità e sentimento e metafisica; ma musica al cento per cento, distillata, non mai nascosta sotto la maschera di figure e concetti presi a prestito da altri campi. Sentire umano - ma non faccende umane - e anche questo sentire espresso nelle misure dell'arte. E dire misure dell'arte non è soltanto riferirsi alle proporzioni, ai limiti della bellezza, alla salvaguardia del gusto - significa anzitutto non assegnare a un'arte compiti estranei alla sua natura (per esempio, in musica: la descrizione).
Questo è quel che io penso. E può tutto ciò - per riferirci a quanto è stato detto da principio - può questa opinione venir combattuta da persone oneste? Non porgo io piuttosto la mano a una generale intesa? È possibile che queste teorie vengano considerate da un lato come dannose, pericolose, dall'altro come retrograde, piene di compromessi? Io le affido a Lei. 
Il Suo 
Ferruccio Busoni

Io concordo col busoniano concetto di «unità della musica», in particolare perché, come esempio, Ferruccio porta la sostanziale inesistenza di uno stile musicale «di chiesa»: è proprio qui che entriamo nello specifico di questo mio lavoro.

Il fatto che oggi in Italia la grande maggioranza degli organi si trovino nelle chiese (da noi è raro, rispetto invece a tanti altri paesi, che si provveda a dotare d'organo una sala da concerto) ha fatalmente ingolfato la creatività dei compositori di musica per organo, complice il sostanziale disinteresse della Chiesa cattolica stessa, la quale in Italia ha ormai da alcuni decenni abbandonato il serio perseguimento di una certa qualità artistica del canto e della musica cultuale (ma veramente, nel corso dei secoli, avremmo in ogni chiesa assistito ad esecuzioni musicali impeccabili?...).

Ebbene, sulla scorta di quelle che, nella succitata lettera di Busoni, sembrano essere mere provocazioni, l'ascoltatore di questa registrazione provi a pensare di – per così dire – rivestire di sacri paramenti queste musiche (tutte composte dall'autore per il pianoforte) e si accorgerà che, all'interno di favorevoli contesti liturgici, non solo non stonerebbero ma, anzi, favorirebbero una migliore partecipazione dei fedeli al culto. Se invece il “travestimento spirituale” non interessa, quanto meno spero si apprezzi il mio modesto tentativo di dimostrare che la musica è sempre musica tramite qualsivoglia strumento la si esegua. Mi conforta, in proposito, quanto Busoni stesso affermava convintamente nel 1921: «è tempo di riconoscere che tutte le manifestazioni musicali costituiscono una unità, e di distinguerle non già secondo la loro destinazione, la forma o il mezzo sonoro impiegato, come si fa ancora, ma esclusivamente in base a due argomenti, ilcontenuto e la qualità».13

E se Busoni lavorò tutta una vita per tirar fuori dal pianoforte sonorità organistiche nelle sue impareggiabili trascrizioni della musica per organo dell'amato Bach, al contrario, in queste mie, che non sono trascrizioni ma semplici adattamenti estemporanei della partitura originale, lungi da me il voler ammaliare il pianofilo per illuderlo a scorgere nell'organo echi prettamente pianistici! Tuttavia mi si conceda affermare – bando alla modestia! – che la tavolozza sinfonica di un organo come il “Bevilacqua/Chichi” (costruito nel 1968, su progetto di Elisa Luzi, per la basilica di S. Miniato al Monte in Firenze e poi trasferito nella Collegiata di Empoli nel 1974) abbia contribuito a far sbocciare del prodigioso quattordicenne14 intenzioni in nuce che le corde del pianoforte non possono proprio soddisfare! Spero, quanto meno, che questi miei adattamenti organistici soddisfino quelle qualità che il Busoni maturo vedeva nella trascrizione, ovvero che «una musica buona, grande, “universale”, resta la stessa qualunque sia il mezzo attraverso cui si faccia sentire», considerando comunque che «i mezzi diversi hanno un linguaggio diverso (loro peculiare) col quale comunicano questa musica in modo sempre un po' differente».15

In questo anno nel quale ricorre il 150° anniversario della nascita di Busoni, faccio mie le parole di Roman Vlad pubblicate in occasione del primo centenario della nascita del grande compositore di Empoli, sperando a mia volta di aver dato un piccolo contributo alla conoscenza della sua musica, in particolare a coloro che non sono particolarmente appassionati di musica per pianoforte:

«Ferruccio Busoni è stato uno dei più grandi compositori che l'Italia abbia mai avuto, una delle figure maggiori della storia musicale universale, uno degli artisti che hanno toccato le vette più alte che allo spirito umano sia stato dato raggiungere. [...] Busoni era un Profeta. Che sia finalmente riconosciuto come tale. Anche nella sua Patria».16

Paolo Bottini

Cremona, il 1° aprile dell'anno 2016, giorno del 150° genetliaco di Ferruccio Dante Michelangelo Benvenuto BUSONI

 

NOTE:

 

1Cfr. O. Maione, I Conservatori di musica durante il Fascimo – La riforma del 1930: storia e documenti, EDT, Torino 2006.

2Così recita la targa fatta apporre dal Municipio di Empoli nel 1925 sulla facciata della casa natale del musicista.

3F. Busoni, Lo sguardo lieto (tutti gli scritti sulla musica e le arti), a cura di F. D'Amico, in «Saggi di arte e di letteratura», vol. 47, Il Saggiatore, Milano 1977. Del resto, solo pochi anni prima Roman Vlad poteva lamentare: «L'indicazione più precisa circa il reale grado di apprezzamento di cui Busoni gode attualmente sul "mercato" musicale europeo può essere fornita da una lettura dell'opuscolo contenente i cartelloni per l'anno 1966 dei ventinove festival che fanno parte dell'Association Européenne des Festivals de Musique. Ebbene: nella pletora dei nomi di compositori grandi e piccoli, appartenenti ad ogni tempo e paese che vi figurano, il nome di Busoni non appare nemmeno una sola volta» (R. Vlad, Busoni, in «L'Approdo Musicale», n. 22, Roma 1966, p. 7).

4Cfr. S. Sablich, Busoni, EDT, Torino 1982, p. 2.

5In T. Pangrazi, Adorata forma. Saggio sull'estetica di Ferruccio Busoni, Mimesis, Sesto San Giovanni 2014, p. 45.

6Cfr. Sablich, Busoni cit., p. 57.

7«È indubbio che Busoni “si sentisse” italiano […] e si ostinò sempre a dichiararsi italiano all'estero […]. In realtà, per cultura e formazione, abitudini e costumi, lingua e opere egli era diventato assai più tedesco che italiano» (Sablich, Busoni cit., p. 56).

8Cfr. H. Leichtentritt, Ferruccio Busoni, in «The Music Rewiew», VI, 4, novembre 1945, citato in Vlad, Busoni, cit.

9Cfr. Sablich, Busoni cit., p. 2.

10Così nella medesima lettera alla madre sopra citata, in Pangrazi, cit., p. 40.

11Heinrich F. Fleck, Ferruccio Busoni umanista, pro manuscripto, Roma 1970 (consultabile in rete nel sito internet <www.heinrichfleck.net>).

12R. Vlad, Guida all'ascolto del programma di sala del concerto dell'Accademia di Santa Cecilia svoltosi il 27 ottobre 1974 presso l'auditorium di via della Conciliazione a Roma.

13F. Busoni, Abbozzo di un'introduzione alla partitura del “Doktor Faustus”, in Pangrazi, cit., p. 65.

14Risale al 1877 e fu presa a Vienna la foto riportata in copertina.

15F. Busoni, Valore della trascrizione (1910), in Pangrazi, cit., p. 99. 

16R. Vlad, Busoni, in «L'Approdo Musicale», n. 22, Roma 1966, p. 7.

 


 

Sulla grafica e sul titolo

 

Un punto arrotondato a pausare in medio una sequenza di caratteri alfabetici. Due moduli rettangolari, ciascuno raddoppio d’un quadrato, saldati lungo la marcata nettezza d’un’affilata fenditura verticale. Quadrato e cerchio: forme geometriche della vitruviana perfezione dell’universo armonico e della sua microcosmica espressione umana. Su questa rigorosa geometria formale, si struttura la copertina del libretto di Classicamente, la cui filigrana – nell’obliquità delle icastiche citazioni strumentali (tasti di pianoforte ebano-eburnei, sulla sinistra, e metalliche canne d’organo, sulla destra) – suggerisce il significato ulteriore dello “scarto alla regola” che è “la regola” della grande musica. Della stessa eterodossia partecipa – sempre sul piano formale, laddove il percorso dei caratteri si flette – il “mente” dell’avverbio voluto come ricercato titolo, in cui il suffisso avverbiale espressamente gioca con il sostantivo che dice la sede umana di ogni regola e di ogni suo gioco tra razionalità e fantasia. Ad alludere a quanto è umana passione, d’altronde, nella covercome nella quarta di copertina, c’è l’emergere di due intensi ritratti di musico (non più presenti sul retro del cd, dove il riferimento al musicista è assorbito nella citazione del suo strumento d’elezione): un freschissimo Busoni adolescente, in apertura, la cui candida immagine si staglia sul percorso di tasti di pianoforte su cui, assai precocemente e con innata gran classe, s’avventurò virtuoso; e, in chiusura, un maturo Bottini, il cui più contrastato profilo svetta su canne d’organo che, anche in questa occasione, danno voce alla (e misura della) sua maestria d’orchestratore. 

Le scelte cromatiche della copertina del libretto amplificano il riferimento al costruttivo, quanto difficile, dialogo tra facoltà umane detto dalle opzioni formali. L’aura un po’ asettica da concerto classico solennemente vestito in frac e spàrato che circonfonde, nell’iscrizione, il contrapporsi dei non-colori bianco e nero, così, prende umano calore dal campo colorato in cui le lettere si stagliano: nel garbato, ma deciso, fluttuare tra grigio (ad un passo dall’azzurro-blu) e ocra (sul punto di diventare rosso-sangue), la tavolozza tutta è un accenno a musica in cui, tra solidità e rigore di struttura e trasporto d’emozione, ragione e passione continuamente trascolorano l’una nell’altra.

Preludi, fughe e fughette, danze, componimenti dalle suggestioni medievali tipiche del gusto gotico di tanto Ottocento: nelle pagine scelte da Bottini per questa registrazione, il giovanissimo Busoni, con il rigore che gli viene dalla sua mente strutturalmente “classica”, affronta forme e si confronta con idee che affondano radice in una gloriosa tradizione musicale già padroneggiata con sprezzatura di maestro maturo. Nonostante la precocità anagrafica, però, nelle prove dell’erede già si intuisce qualche germe dell’eversiva eresia futura: la “mente” che, negli anni di queste composizioni, è così marcatamente “classica”, già s’inclina come per prendere la rincorsa; e così proiettarsi nel futuro. Sull’onda di tale slancio, Bottini – mutando la “tavolozza blu”, razionale e nitidissima del pianoforte, nella variegata ricchezza orchestrale dell’organo, col suo rosso d’umana passione – amplifica gli accenti in cui Busoni già diverge rispetto a tutto quanto ereditato e metabolizzato. Una simile amplificazione, fondamentata su una sapiente opera di trasposizione-adattamento delle partiture da uno strumento all’altro, non va disgiunta da una forte coloritura della personalità musicale del trascrittore-interprete: è dunque a buon diritto che la superficie del cd esibisce una duplice griffe

La bella grafica di questo “omaggio a Busoni” è prova dell’artista cremonese Daniela Gorla che, da sempre, coniuga nel suo lavoro ragione e passione, omaggio alla tradizione e slancio eversivo verso il futuro. In realtà, si è in presenza del risultato di quello che, tra fine inverno ed inizio primavera del 2016, è stato un pressoché quotidiano confronto dell’artista con l’organista-concertatore e l’autrice di queste righe: partiti, ciascuno, da un’idea primigenia connotata in modo assai difforme, è ad un voce che oggi si presenta l’esito d’un lavoro di revisione reciproca e fusione che lascia soddisfatti musicista, artista e scrittrice di cose d’arte. A chi si colloca nella prospettiva di quanti credono nella bontà delle idee quando poste nel solco del divenire e non dell’essere, piace d’altronde pensare che lo stesso Busoni avrebbe guardato con simpatia siffatta “invenzione a tre voci”. 

«Solo chi guarda innanzi ha lo sguardo lieto» giusta il Doktor Faust.

 

Elena Bugini

 


 

RECENSIONI

 

«Paolo Bottini è un organista che si dà molto da fare in Italia per l'organo e gli organisti. In particolare egli è l'autore di un testo encomiastico sugli organisti, [...]. In questa sua nuova produzione discografica Paolo Bottini ha raccolto diverse opere per pianoforte di Ferruccio Busoni particolarmente adatte ad essere suonate all'organo, operazione questa che è ben spiegata nelle note presenti nel libretto del c.d. pubblicato dalla casa discografica italiana «Bongiovanni»: non è forse vero che Busoni è noto soprattutto per le sue trascrizioni pianistiche di opere per organo di Bach? [...]. Lo strumento scelto da Bottini è stato costruito da "Bevilacqua" nel 1968, restaurato ed ingrandito dalla ditta Chichi di Firenze nel 2004 ed oggi custodito nella Collegiata di S. Andrea ad Empoli. Questo composizioni sono suonate veramente benissimo, con entusiasmo e rispetto. Si potrebbe forse solo porsi qualche interrogativo circa qualche scelta di registrazioni un po' modernista, che certo non sarebbe stato possibile ascoltare all'epoca di Busoni, ma la maggior parte delle trascrizioni sono convincenti e, nel caso vengano pubblicate, potranno degnamente arricchire il repertorio del nostro strumento». [Guy Bovet, «La Tribune de l'Orgue» n. 69, 3/2017]

Paolo Bottini est un organiste qui s'investit beaucoup en Italie pour l'orgue et les organistes. Il est notamment l'auteur d'un texte à la gloire des organistes, dont nos lecteurs se souviennent sans doute,texte qu'il mettait dans la bouche du pape Françoiset qui a suscité de nombreuses réactions. Il a rassemblé de nombreuses œuvres de piano de Busoni qui pouvaient d'adapter à l'orgue, et s'en explique très bien dans le commentaire du livret: Busoni n'a-t-il pas passé beaucoup de temps à transcrire pour le piano des œuvres d'orgue de Bach? Il s'agit du Prélude et Fuge opus 5, de 12 Préludesde l'opus 37, de trois Macchiette medioevali opus 33, de quatre Danze antiche opus 11, de deux Racconti fantastici opus 12, d'un Prélude et Fughetta extrait de An die Jugend et du Contrapunctisches Tanzstück opus 30a n. 1. Ces pièces sont jouées sur un orgue moderne de 1968(Bevilacqua) restauré et agrandi en 2004 par le facteur d'orgues Chichi de Florence, instrument se trouvant à la Collégiale de Sant'Andrea à Empoli. Ces œuvres sont extrêmement bien jouées, avec enthousiasme et respect. On peut s'interroger sur certaines registrations délibérément modernistes, qui n'auraient guère été possibles du vivant de Busoni, mais presque toutes les transcriptions sont convaincantes, et si elles sont publiées, elles enrichiront dignement le répertoire de notre instrument. [Guy Bovet, «La Tribune de l'Orgue» n. 69, 3/2017]

 

* * *

Scrisse solo tre opere per organo: una Fuga in tre parti (1876), un Basso Ostinato con Fuga Doppia (1880) e un Intermezzo da ‘Doktor Faust’ (1924). Tutti sono rimasti sconosciuti. Eppure Ferruccio BUSONI (1866-1924) gode una certa fama ha una certa fama tra gli organisti; ed è perché lui, come Liszt e Tausig, ha arrangiato della musica d’organo di Bach per il pianoforte: la famosa Toccata, grandi Preludi come il Es-Dur, e corali come “Nun komm” e “Ich ruf’ zu Dir”. Sono degli arrangiamenti dai quali la musica di Bach viene illuminata da una nuova luce, riceve come una nuova dimensione.

Al contrario, che possa valere la pena di arrangiare all'organo della musica per pianoforte per l’organo, è dimostrato da questo CD realizzato dall’organista cremonese Paolo Bottini. Sul disco esegue composizioni di Busoni. Principalmente musica che è stata scritta quando era un adolescente. Ma quanto matura e deliziosa! Sentiamo pezzi pieni d’atmosfera romantica, scintillanti e sorprendenti, in cui Mendelssohn, Schumann e Chopin si rivelano. Ma anche composizioni che suonano molto classicamente, come un Minuetto in stile mozartiano e una Giga che sembra tolta da una Partita di Bach. [...]. E proprio al Thomaskantor è ispirato il Preludio e Fuga op. 5 che apre il c.d. […].

Bottini esegue la musica di Busoni meravigliosamente: grazie alle registrazioni orchestrali, diversi pezzi, come lo scherzo Klein Zaches, guadagnano in forza espressiva. Certamente ogni tanto aggiunge delle note, le suona all’ottava, le omette, o modifica la dinamica. Ma non temete: è qualcosa che anche Busoni ha fatto nei suoi arrangiamenti di Bach. L’effetto non è da meno: l’opera di Busoni si rivela come dell’ottima musica per l’organo!

L'organo utilizzato per questa incisione è quello della Collegiata di Empoli: la città dove è nato Busoni. Lo strumento dal XVI al XVIII secolo sopravvisse a un bombardamento nel 1944, ma fu successivamente saccheggiato dalla popolazione. L’attuale strumento (46 registri su tre tastiere) fu creato dalla ditta Bevilacqua nel 1968 per un monastero vicino a Firenze, portato a Empoli nel 1974 e revisionato e ampliato nel 2004 dalla ditta Chichi. [...]

Alla fine del disco si può sentire che Busoni non ha prodotto solo suoni classici e romantici, ma anche dei suoni nuovi. Nel Contrapunctisches Tanzstück (1889/1914) lascia fluttuare il ritmo [...]. E il dupréanoPreludietto e Fughetta (1909) si allontana ancor di più lontano da sentieri battuti: qui soffia “Luft von anderem Planeten”. Il pezzo, tuttavia, non si disperde, ma è tenuto sotto controllo da tonica, melodia e contrappunto. “Frei ist die Tonkunst geboren und frei zu werden ihre Bestimmung” scrisse Busoni. Ma non andò si lontano come Varèse, Schönberg o Debussy: la musica di Busoni rimase imbevuta di uno spirito classico. Una Classica Mente, per così dire.

Joost Veerman su orgelnieuws.nl (16 agosto 2019)

 

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[...] pezzi per pianoforte semplicemente suonati sull’organo “così come sono”. Si tratta di brani giovanili, brevi (il più lungo è di 6 minuti), e riflettono l'influenza dei “pezzi caratteristici” di Chopin, Schumann e Mendelssohn. Busoni scrisse solo due opere originali per organo: il Præludium op. 7 e la Doppelfuge zum Choral op. 76, solitamente pubblicati insieme come Preludio e Fuga, nessuno dei quali appare in questo programma. L'esecuzione è competente, le registrazioni variopinte, l'organo eccellente, [...]. Note estese sugli inizi della carriera di Busoni [...] [e] ampio saggio rievocativo [...] [riguardo il] simbolismo del colore della copertina del libretto, della grafica e del titolo [...]. [American Record Guide, marzo/aprile 2017, p. 71]

 

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Beh, questo è bizzarro. L'organista italiano Paolo Bottini adatta alcune delle prime composizioni per pianoforte di Ferruccio Busoni e le esegue con sorprendente fantasia e non poco virtuosismo. La musica è antecedente alla successiva espansione del vocabolario musicale di Busoni (con la parziale eccezione del Contrapunctisches Tanzstück densamente modulante), attingendo a un linguaggio tonale romantico con ispirazioni precedenti: un Preludio e Fuga, quattro affascinanti Danze antiche e, tra le meravigliose miniature dei 24 Preludi op. 37, pezzi nello stile di una Giga e di un Corale. L'organo si distingue appena (e le ance spesso sono comicamente stonate), ma Bottini ha ricercato una miriade di colori che contribuiscono a un'esperienza di ascolto estremamente piacevole. Sebbene Bottini non affermi di aver prodotto vere e proprie trascrizioni ma semplicemente “adattamenti della partitura originale”, se dovesse pubblicare i suoi sforzi aggiungerebbe al repertorio organistico della musica preziosa e molto attraente. [Chris Bragg su «Choir & Organ», novembre-dicembre 2017]

 

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Recensione di Federico Borsari pubblicata nel sito internet Lapaginadellorgano.it

Recensione di Gian Paolo Minardi su Classic Voice

Recensione di Graziano Fronzuto su Liber Exit Cultura

 

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Ferruccio Busoni ritratto da Max Oppenheimer (1916)

[cliccare sull'immagine per ascoltare il Preludio e Fuga op. 5 di Busoni interpretato da Paolo Bottini]